Se metti assieme i puntini e guardi cosa succede all’ecommerce con disincanto, vedrai un continuo cambiamento.
Il commercio esiste da sempre e le sue forme sono sempre mutevoli.
I negozi, come luoghi separati della distribuzione, che fanno incontrare le merci prodotte dalle aziende con i consumatori che cercano prodotti, hanno poco più di 200 anni.
Il modello del rivenditore moderno ha solo 150 anni.
Il rivenditore moderno è colui che seleziona i prodotti e i fornitori, si assume il rischio dell’acquisto e dello stock di magazzino, mette a disposizione del pubblico i beni che lui acquista, definisce e fissa i prezzi di vendita, crea i luoghi della merce a cui si accede con ingresso gratuito, vende i prodotti con la sua organizzazione di vendita, consegna la merce al cliente, se serve spedisce la merce a distanza, investe anche in pubblicità, si affianca alle campagne di sell-in dei produttori con proprie campagne di sell-out.
Il rivenditore moderno nasce in Francia nel 1869, prima che altrove ed il tempio del rivenditore moderno è Bon Marché.
Questo modello, che ha avuto grande fortuna e che ha invaso il nostro mondo declinandosi in negozi, supermercati, centri commerciali, parchi commerciali, giustifica il margine di almeno il 40% medio che il rivenditore moderno si attribuisce.
Il modello di vendita al dettaglio si sta frantumando.
I primi shop online erano stabilmente nell’orizzonte della vendita classica al dettaglio e utilizzavano la vendita online solo per raggiungere un cliente fisicamente più distante e che usava strumenti digitali per connettersi ai mercati e alle altre persone.
Oggi questo modello sta franando.
I fornitori delle merci hanno capito che possono rivolgersi direttamente ai clienti finali.
Molti processi, tra ideazione, produzione, stoccaggio, distribuzione e vendita hanno tempi incomprimibili, i produttori non conoscono le esigenze dei consumatori perché non le hanno mai seguite, ma comprendono che concedere un margine del 40% alla distribuzione si giustifica poco.
Si veda la crescita velocissima del modello dei marketplace.
In ogni singolo paese dove è presente Amazon, le sue vendite rappresentano un volume in pezzi venduti e percentuale di ricavi che si avvicina alla metà delle vendite online e che condiziona anche la vendita retail tradizionale.
Non solo. Le vendite sui marketplace sono guidate dalle terze parti e non dagli acquisti diretti del marketplace stesso.
Per alcuni settori, come la cosmetica di consumo, le vendite sui marketplace arrivano a quote intorno al 30%-35%.
Una nuova ondata di disintermediazione.
La nuova accelerazione sta arrivando con il fenomeno che potremo definire Global Manufacturer to Consumer.
I produttori, in particolare i cinesi, ora consegnano direttamente, oltre il loro confine.
Aliexpress, Shein, Wish, sono già nella top 20 dei principali eCommerce in Italia.
Wish con prezzi medi di vendita di 5 euro e ordine medio di 19 euro, mostra una presa crescente sul mercato italiano.
Gli attori della vendita online che avevano prosperato sui bassi costi di produzione in Cina, sono adesso i primi concorrenti (o le vittime) dei loro ex fornitori.
Una nuova ondata di marketplace.
Questi nuovi marketplace stanno cambiando sia lo scenario del commercio che le regole del gioco.
I marchi e i produttori diventano distributori.
Questi nuovi panorami costringeranno a cambiare il diritto commerciale e il diritto dei consumatori. Tutto quello che è stato costruito dal 1870 ad oggi e che riguarda consumi e distribuzione, deve essere ripensato e riprogettato.
Il problema principale è il tempo che ormai è davvero poco, per comprendere cosa sta succedendo e per intervenire con lo scopo di tutelare concorrenza e diritti delle persone.
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