Le vendite online crescono, aumentano le aziende che vendono, aumentano i clienti, eppure ho sempre la sensazione che ci sia qualcosa di non detto e di inespresso: come se si fosse alle soglie di un altro grande cambiamento.
E’ disponibile online il rapporto annuale presentato da Casaleggio Associati sullo stato delle vendite online in Italia. Cresce il fatturato nel 2013 del 6% rispetto al 2012 raggiungendo i 22,3 miliardi di euro. Per la prima volta il settore non cresce a doppia cifra e si dovrebbero rivedere le stime di crescita anche nei prossimi anni. A maggio il Consorzio Netcomm presenta i suoi risultati. Guardando la situazione, seguendo dei progetti online, leggendo vari documenti, mettendo assieme esperienze, ho idea che il futuro prossimo sia dettato più cambi improvvisi di prospettiva che da crescita e sviluppo ordinato.
Moltiplicazione dei punti di accesso.
I principali motori del dinamismo sono la moltiplicazione dei punti accesso – desktop, tablets, smartphone, TV, automobili.
Cresce anche la popolazione connessa, aumenta l’offerta e la comparazione. Tutto normale, considerando che ormai l’82% della popolazione italiana è connessa alla rete.
Aumenta l’offerta, aumenta la domanda, i mercati si fanno concorrenziali ed è normale attendersi che la vendita media di una attività online diminuisca prima di stabilizzarsi. Inoltre, all’aumento del numero delle persone che comprano online, diminuisce anche il numero medio delle transazioni per acquirente.
Ultimo dato da considerare è che a questi ritmi di crescita, entro il 2020 si raggiungerà il limite delle persone che acquistano online in Italia, dato dal limite fisico della popolazione esistente. Questo mi fa pensare che i beni venduti online a quella data non supereranno il 10% delle vendite totali. Parlo di merci e beni fisici, mentre servizi e beni immateriali potrebbero avere un altro sviluppo.
Prodotti e settori.
Elettronica, elettrodomestici, multimedia sono stati i pionieri dell’ecommerce. In questi settori la battaglia si gioca sempre sul terreno dei prezzi e dei volumi, con il progressivo schiacciamento dei margini. Quanto ancora può durare, prima di vedere fusioni tra operatori e ritiri di altri venditori?
Il cambiamento della legislazione nel settore medico favorirà questo specifico settore.
Ma potrebbe esserci anche un aumento nel settore degli oggetti decorativi, dei mobili, dell’home & garden, dei prodotti alimentari.
Marketplaces e pure players.
I marketplaces crescono più degli ecommerce.
Tra il 20 ed il 25 per cento delle vendite online negli Stati Uniti passano attraverso Amazon ed eBay. In Italia ho la sensazione che la percentuale sia maggiore.
Ci sono due aspetti da considerare, tra loro combinati.
- Per Amazon, ad esempio, le vendite ottenute da terze parti sono da considerare anche un mezzo per aumentare il proprio fatturato complessivo grazie alle commissioni.
- Per molte attività i marketplaces sono la strada più facile e sicura per accedere al mercato online.
Anche i pure players si stanno modificando.
I grandi venditori pensano ad un sistema di raccolta di introiti pubblicitari sui loro siti, così da compensare i bassi margini delle vendite online, come pure a creare nuovi marketplaces. Molto evidente nelle mosse di Staples in US, ma è anche quello che potrebbe succedere in Italia ed in Europa in genere. Aprire alle vendite di terze parti permette di aumentare il catalogo e l’inventario dei prodotti senza investire nulla in merci e la commissione sulla vendita finale diventa quasi interamente margine.
Dal B2C al B2B.
Tutti gli sforzi e gli investimenti messi in questi anni dai pure player per fidelizzare i venditori, come pure gli sforzi dei marketplaces, hanno aperto la strada verso un modello di business dedicato al B2B. Già adesso il B2B vale il doppio del B2C.
C’è moltissimo da sviluppare nel settore dei servizi per i venditori online, se si vuole evitare che la pressione crescente sui margini produca un rallentamento delle attività. Strano che molti non si accorgano che gli strumenti di integrazione delle vendite online con i sistemi di gestione contabile e di logistica siano molto più cruciali per la crescita delle vendite, rispetto a quanto si è finora discusso.
E’ un esempio l’acquisizione del gruppo Alpha Direct Services da parte di Rakuten per creare un servizio di logistica in Francia dedicato alle vendite online. E in Italia?
Il commercio tradizionale.
L’ecommerce non ha schiantato la vendita tradizionale.
E’ vero che molti settori hanno sofferto, come la musica ed i libri. Ma ancora oggi i consumatori comprano sempre il 90% dei loro beni e servizi nei punti vendita fisici. Il commercio sta cambiando perché c’è una ecatombe di negozi fisici dovuta al sovradimensionamento degli ultimi dieci anni e al più grande cambiamento del contesto imprenditoriale degli ultimi 200 anni.
Le regole del gioco stanno cambiando.
- La distribuzione tradizionale cerca di recuperare il ritardo accumulato sulla rete.
- I pure players devono recuperare i margini che perdono online.
- I produttori vogliono competere sul fronte della vendita diretta.
- Continua il lancio di nuovi grandi siti di ecommerce.
Dove sta il vantaggio competitivo dei negozi?
Il vantaggio è la rete dei negozi ed il fatto che i consumatori non sono legati ad un tipo di distribuzione. I consumatori usano entrambe le situazioni: on site e online. I dettaglianti più avveduti sviluppano situazioni “web to store”: digitalizzano i punti vendita e attraggono i clienti dal sito internet al negozio fisico.
Perché c’è poco da dire e da fare: il tasso di conversione nel negozio fisico è almeno 20 volte superiore al tasso di conversione online.
Questo lavoro richiede però di allineare i prezzi ed i margini, di agire con serietà nei diversi canali, di migliorare l’esperienza del cliente sia nel negozio fisico che nel negozio online, calcolando che il pick&pay lascia il costo dell’ultimo miglio al cliente finale (come ben sa Ikea che anche su questo aspetto ha costruito il suo modello di business vincente).
In Italia ci sono 900 mila punti vendita con una realtà di grande diffusione territoriale e di varietà. E’ vero che molti stanno chiudendo e non riapriranno più. Ma anche con il 30% in meno di negozi il potenziale è enorme.
La carta vincente è l’immediatezza, se le piccole imprese commerciali comprendono che possono sviluppare piattaforme di vendita che siano anche unioni di attività per consegnare a domicilio, ritirare presso il Punto Vendita o presso punti di distribuzione selezionati.
Significativa in questo senso mi sembra l’esperienza di Orafinrete che deve ancora crescere, ma che presenta un modello di reazione imitabile. Il tempo è breve: se i commercianti non colgono subito la situazione, quando arriveranno i leader dell’ecommerce sarà troppo tardi.
Redditività delle imprese online.
Mi piacerebbe conoscere dei dati precisi su questo specifico argomento, perché malgrado il clamore attorno alla vendita online, credo che due imprese su tre non siano redditizie, così, a pura sensazione, visto che l’accento è sempre sulla vendita, mai sul rendimento e che i modelli di gestione del prezzo di vendita sono sempre troppo rigidi. Ma questo è già un altro discorso.