Poco tempo fa avevo pubblicato Ecommerce e prezzo minimo di vendita
Sono successe nel frattempo alcune cose interessanti che merita darne conto.
I fatti
- La sentenza Leegin del 28 giugno 2007 ripristinava il concetto di prezzo minimo di vendita, imposto ai distributori, e dava la possibilità di costruire degli accordi verticali tra produzione e distribuzione, modificando la sostanziale impostazione antitrust degli Stati Uniti.
- Ebay, ma anche diversi marketplace ed associazioni di consumatori, hanno lanciato una petizione in Europa affinché il nuovo Parlamento Europeo mantenga il divieto alla formazione di accordi, per legge, tra produzione e distribuzione.
- L’ assemblea generale del Maryland aveva immediatamente codificato di per sé la illegittimità di “un contratto, in combinazione, o cospirazione che stabilisce un prezzo minimo al di sotto della quale un dettagliante, grossista, o distributore, non può vendere un prodotto o un servizio,” dichiarando che è una “irragionevole limitazione del commercio.” (Maryland House Bill 657, approvato dal Governatore, 14 aprile 2009 e in vigore dal 1 ° ottobre 2009).
- Una proposta di legge è stata presentata il 13 luglio 2009 alla Camera dei Deputati e prevede che “Qualsiasi accordo di fissazione di un prezzo al di sotto del quale un prodotto o un servizio non possono essere venduti da un dettagliante, grossista, o distributore, deve violare la sezione 1 dello Sherman Act (15 USC, 1).(la madre delle leggi antitrust)”
- Questi elementi si trovano online su House considering federal “Leegin repealer” legislation.
- Infine, Bloomberg.com il 27 luglio, da la notizia che il gruppo del lusso LVHM ha iniziato un’azione di lobbing per far si che il Parlamento europeo modifichi l’attuale legislazione ed accetti la distribuzione selettiva, per legge, controllata dai produttori.
Le considerazioni
Tutte queste discussioni sarebbero state possibili in assenza del commercio online ?
La mia opinione è: no, non sarebbero state possibili.
Fino a tutti gli anni ‘90 l’applicazione delle norme antitrust è sempre stata sollecitata dalle grandi aziende per poter estendere la loro distribuzione a qualsiasi richiedente. Le multinazionali del jeans (Levi Strauss, Lee e Wrangler, ma anche tutti i marchi di VF Corporation) hanno sempre interpretato in modo estensivo la norma antitrust e nessuno poteva essere escluso dall’acquisto e dalla vendita del prodotto. Ho lavorato a lungo in queste aziende per essere responsabile dell’applicazione di queste norme.
L’unico problema era l’importazione parallela e per questa si faceva valere il principio riconosciuto anche in Europa del first sale rule.
Il panorama è letteralmente sconvolto dal commercio online, dove non esiste più legame territoriale tra merce, prodotto, cliente e distribuzione.
Vi è la possibilità di approvvigionarsi da una parte, vendere da un’altra, il prezzo non è legato ad una qualità o quantità di servizio tangibile, ma è del tutto immateriale.
Non solo. Il commercio online si configura sempre più come il commercio, non come una declinazione possibile della vendita. Questo perchè tutte le informazioni necessarie passano ormai attraverso la rete: informazioni sulla merce, caratteristiche del prodotto, prezzo medio di vendita, disponibilità, recensioni dei consumatori.
Lo stesso concetto di copyright è sotto forte attacco a favore del copyleft.
Nel campo della moda le aziende devono rivedere il loro ciclo produttivo perché è finito per molte il tempo in cui potevano esprimere una indicazione sul gusto ed avere il seguito del pubblico. Un tempo tutto sommato breve, di una cinquantina d’anni, ma sufficiente a far pensare che sia immutabile.
Eppure il concetto di lusso sostenibile, di prodotto immediato, sta soppiantando l’idea della sfilata e della collezione.
Ed oggi sono le stesse grandi aziende, che solo 15 anni fa sostenevano una strenua difesa delle norme antitrust per poter esser certi di avere una distribuzione il più ampia possibile, oggi invocano una difesa della distribuzione selettiva.
Verrebbe da pensare per gli effetti della situazione economica, mentre credo sia molto più per la impossibilità di controllare cosa può succedere una volta che, a breve, tutto passa nella rete senza mediazione possibile.
Quali possibili sviluppi
Qui veramente confesso di non avere idee su quale sarà la soluzione ottimale.
Per ognuna dei due possibili scenari – norme anticompetitive che tutelano la distribuzione ed il possibile trust tra produttori e consumatori e norme antitrust che allargano la concorrenza ed il vantaggio ai consumatori – non so quale sarà la soluzione scelta e migliore.
Ciascuno dei due corni del dilemma ha argomenti a favore e contrari di spessore.
La mia personale preferenza va alla soluzione liberale per il solo motivo che mi sembra più ragionevole e più praticabile. Sarà comunque la rete ad imporre nei fatti come si organizzerà la distribuzione commerciale, anche se sicuramente questo passa attraverso una strenua battaglia.
Da un lato i produttori che intendono assumere il controllo anche della distribuzione, dall’altro il sistema distributivo che comunque si sta organizzando e cresce in modo non direttamente controllabile.
Questo sarà anche uno degli esiti dell’attuale crisi economica.