Il commercio online non è una estensione della vendita per corrispondenza. Anche se è ancora inteso in questo modo da molti compratori ed ancor di più commercianti, la verità è che commerciare online non è il prosieguo della vendita per catalogo del secolo scorso.
Lo si capisce dalle modifiche profonde che la vendita online sta provocando nella struttura dell’organizzazione commerciale.
I segnali più evidenti si hanno guardando la reazione delle aziende produttrici e dei detentori dei marchi famosi alla crescita dell’offerta online, e si trovano anche nelle politiche di contrasto alla falsificazione e alla contraffazione che si sviluppano attraverso molte contraddizioni.
In una struttura commerciale tradizionale, come abbiamo conosciuto fino ad una dozzina di fa, era il produttore che stabiliva le regole della distribuzione attraverso contratti di distribuzione selettiva, rapporti di esclusiva di zona, politiche di prezzo consigliato (quando non imposto). Oppure il produttore sceglieva di diffondere il più possibile e ad ogni livello il proprio prodotto, gestendo le inevitabili frizioni che si creavano tra venditori di diverse dimensioni, ma sostanzialmente mantenendo un controllo abbastanza rigido sulla distribuzione.
La vendita online ha eroso rapidamente questa certezza. Inizialmente sottovalutata e considerata poco più alla stregua di una bancarella da mercato(senza capire il grande valore comunicativo delle bancarelle), non solo le performance delle vendite stanno crescendo in un’epoca di recessione, ma cambiano letteralmente i termini di una questione che era legata alla presenza fisica, al territorio, al bacino di utenza e alla città.
In questi anni è vero che alcuni grandi gruppi hanno costruito ottimi siti di vendita che realizzano grandi fatturati. Ma è altrettanto vero che una massa di piccoli venditori si sono dati da fare e stanno ottenendo performance interessanti, inserendo i loro prodotti nei marketplace, eBay in primo luogo, aprendo ecommerce, provando e riprovando.
Inoltre l’attuale situazione economica rende profittevole distribuire online merci immobilizzate da tempo e contribuisce alla sostituzione delle scorte.
Senza contare cosa significa questo movimento su alcune questioni considerate scontate come la determinazione del prezzo di vendita, l’utilizzo dei marchi, i diritti di proprietà intellettuale.
Oggi le contraddizioni diventano evidenti.
Un punto di svolta importante è dato dalla sentenza della Corte Suprema americana del 28 giugno 2007, nota come sentenza Leegin. Fin dal 1911, sentenza Miles, l’autorità antitrust americana considerava il prezzo minimo di vendita una imposizione vietata di per se (per se rule) e si riteneva che le restrizioni non potessero che avere effetti anticoncorrenziali. Questa regola è stata cambiata dalla sentenza Leegin e viene sostituita dalla rule of reason, così da dover decidere caso per caso.
In questi giorni al Senato americano sono in corso delle audizioni su queste questioni, comprese quelle legate alla contraffazione delle merci e il Discount Pricing Consumer Protection Act.
Se anche sembrano questioni lontane e non interessanti, per chi si occupa di ecommerce sono vitali: de te fabula narratur.
La sentenza Leegin ed ogni sua possibile applicazione produce diversi effetti. Si vuole limitare (o impedire) che i clienti raccolgano le informazioni sul prodotto da un distributore tradizionale e poi acquistare da un venditore online che non da servizi informativi, ma concede uno sconto consistente. Nel caso dei beni lusso si vuole impedire che i clienti traggano l’impressione che il prodotto offerto ad un prezzo scontato sia di qualità inferiore e che questo vada a discapito dell’immagine del produttore. E’ invece tutto da dimostrare che il prezzo minimo di vendita imposto aumenti la concorrenza tra i produttori, come invece sostiene la sentenza Leegin.
Poichè tutte queste storie hanno sviluppi diversi che si svolgano in US o in Europa, è interessante capire quale sarà l’atteggiamento della Commissione Europea. Da un lato la Commissione Europea ha già deliberato sull’organizzazione verticale dei concessionari d’auto con il regolamento 1400/02, mentre ci sono segnali di senso opposto nelle cause che oppongono i detentori di marchi tutelati verso gli ecommerce che vendono prodotti regolarmente acquistati ed offerti a prezzo di saldo.
Tutto sta cambiando rapidamente e pochi anni di internet stanno modificando anche regole e comportamenti consolidati da secoli di tradizione. Tutto da osservare con attenzione e da seguire.
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