È molto tempo che le vendite di abbigliamento sono sotto pressione.
Si sono affievoliti i codici di comportamento, è aumentata la libertà di indossare abiti più casual sul lavoro, la diminuzione complessiva dei prezzi ha aumentato le occasioni di acquisto scontato e lo sconto continuo ha reso meno interessante il settore.
Si è persa la notazione di status e l’interesse per molti marchi e, non ultimo, le spese discrezionali dei clienti si sono allontanate dall’abbigliamento per spostarsi su altri settori.
La pandemia di COVID-19 ha accelerato una sorta di declino.
Lavorare da casa ha eliminato i codici di abbigliamento e non ci sono eventi speciali, ricorrenze, occasioni da festeggiare, per cui comprare abiti nuovi.
Infine, la paura crescente per le condizioni dell’economia a breve termine ha depresso ulteriormente la spesa.
Con due mesi di chiusura dei negozi, le vendite di abbigliamento sono scese ai minimi storici e non fa certo testo il numero delle vendite online per giustificare previsioni positive e futuri fiorenti.
Tutto sta influenzando i segmenti di vendita di abbigliamento che avvengano su grandi superfici, negozi specializzati e su outlet.
Minore capacità di spesa.
In generale, la vendita di abbigliamento è sempre stata sostenuta dalla classe media che comprava con soddisfazione. Ma la stessa classe media è quella con maggiore sensibilità al pericolo, quando si avvicina una crisi economica. E con una recessione in corso, la minaccia di peggiorare il divario di ricchezza minerà la capacità di spesa delle persone.
I centri commerciali.
Sebbene la chiusura al dettaglio richiesta dalla pandemia di COVID-19 sia stata temporanea e alcuni negozi non essenziali riapriranno nel giro di pochi giorni, l’epidemia sta accelerando il declino di molti grandi magazzini e dei centri commerciali in cui si trovano.
Quello che preoccupa è che la grande perturbazione che si pensava avvenisse nel commercio lungo i prossimi 5-10 anni, sta accelerando su 12-24 mesi.
- I centri commerciali con piccole imprese locali come ristoranti o saloni di bellezza e abbigliamento a prezzo pieno sono ancora in grado di lottare.
- I centri commerciali tradizionali, dove sia le ancore dei grandi magazzini che molti affittuari di negozi specializzati vendono principalmente abbigliamento e accessori, probabilmente saranno ancora più colpiti a causa della dipendenza dall’abbigliamento.
Per i molti centri commerciali sorti negli ultimi anni, che non sono ancora riusciti a completare la loro offerta e che hanno grandi buchi vuoti e spazi commerciali non affittati, il futuro è molto difficile. Se la domanda di spazi commerciali è inesistente, come si fa ad immaginare una riqualificazione a lungo termine?
Outlet
Il segmento degli outlet è stato a lungo un punto focale nella vendita al dettaglio di abbigliamento. Ma anche questo settore è sfidato dalla pandemia.
Finora gli outlet hanno attirato acquirenti di abbigliamento di tutti i livelli di reddito, che si sono affollati nei negozi per fare buoni affari sui vestiti di marca. Ma gli outlet hanno anche funzionato per la vendita su secondo mercato e mercato parallelo a clienti internazionali, che mancheranno per un po’.
Anche qui difficile immaginare prospettive di veloce ripresa.
Cancellazioni e dilazioni
I rivenditori, dopo i primi giorni di chiusura, hanno contattato i fornitori annullando le spedizioni in corso e chiedendo termini di pagamento più lunghi.
Questa strada è stata presa quasi da tutti, compresi i rivenditori che erano già in ritardo sui pagamenti e che adesso chiedono rateizzazioni ai loro fornitori.
La situazione diventa davvero complicata, perché la leva finanziaria è in mano ai rivenditori. Se non entrano soldi nel sistema e non ci sono luoghi per vendere i loro prodotti, i fornitori non hanno il budget per affrontare la vendita diretta oppure devono sostenere dure lotte legali nel caso di violazione dei contratti.
Il sistema dell’abbigliamento è congelato.
L’incertezza sul mercato dell’abbigliamento è durata una settimana e poi il sistema si è completamente bloccato.
Se i rivenditori locali hanno bloccato e annullato gli ordini ai loro fornitori nazionali, i grandi rivenditori, le catene internazionali e molti grandi brand hanno annullato ordini di acquisto in India e nel Sud Est Asiatico, mettendo sotto shock sia i fornitori locali che i lavoratori che ne pagano le conseguenze più amare.
Non è una situazione che si risolverà in poco tempo.
Ripartiranno prima ristoranti e bar. Tutti noi desidereremo un po’ di divertimento e l’abbigliamento non ha nulla a che fare con questo.
L’abbigliamento ha un deserto da attraversare ed un sistema da reinventare.