I provvedimenti di chiusura delle attività commerciali e i conseguenti decreti di limitazione delle libertà personali, hanno sicuramente prodotto un cambiamento nelle abitudini di acquisto delle persone.
Come sempre, in queste occasioni, si guarda ai dati per capire se questi cambiamenti saranno duraturi e quale portata potrebbero avere.
La frenata dei consumi.
Non possiamo prescindere dal fatto che stiamo assistendo ad una frenata generalizzata dei consumi, non compensata dalla crescita delle vendite online. Share on X
Il fatto di restare chiusi in casa, l’incertezza sul futuro economico, la sensazione di pericolo, i richiami a non muoversi, diminuiscono la propensione al consumo e alla spesa, portano le persone a limitare i consumi all’essenziale e a contenersi in attesa di momenti migliori.
Dati che arrivano dagli Stati Uniti.
Su RetailDive ci sono aggiornamenti quotidiani sulle scelte delle grandi catene americane.
Anche se questa raccolta di notizie rappresenta un mondo apparentemente lontano, ritengo utile leggerle per capire come le scelte oscillano tra diversi poli significativi.
Aziende che vendono abbigliamento ed aziende che, per i loro prodotti, hanno una significativa diminuzione di domanda.
- Aziende che chiudono la maggioranza dei loro negozi, tengono aperto lo shop online, riducono orari e stanno già tagliando percentuali dal 10% al 30% dei dipendenti, con una riduzione degli stipendi per chi resta che va dal 10% al 30%, compresi i dirigenti. Azzeramento dei compensi per un anno agli amministratori.
- Aziende che hanno una forte impronta fisica, anche con grandi performance online prima della pandemia e che arrivano a ridurre fino al 75% i prossimi piani di apertura di nuovi punti vendita.
Aziende che si trovano nella condizione di vendere prodotti molto richiesti, come i prodotti sanitari.
- Aziende che assumono nuovi dipendenti, aumentano il livello del personale per aumentare il livello del servizio.
- Aziende che aumentano gli investimenti per attrezzare aree per la consegna di merci BOPIS (Buy Online Pick Up in Store)
La conclusione che traggo da questa lettura, sempre aggiornata, è che molto dipende dalle merci trattate e non dal metodo di vendita (in store o online).
Altri dati significativi validi per i mercati europei ed italiano
Nel periodo di marzo 2020 le vendite online crescono su:
- Prodotti per bambini, soprattutto pannolini.
- Salute e bellezza per il consumo connesso soprattutto alle farmacie e parafarmacie online.
- Sport e fitness, inteso come abbigliamento facile da indossare a casa e piccoli ausili alla forma fisica.
Qui si registra un consumo di necessità e la gestione di una scorta necessaria.
La cura della persona si muove lungo percorsi imprevedibili, dalla protezione personale, ai consumi di vitamine, ai saponi e detergenti e la richiesta si concentra in alcune categorie della salute e non in altre.
Siamo di fronte ad un consumo di necessità e di sostituzione.
Nello stesso periodo le vendite online scendono su
- Gioielleria.
- Abbigliamento.
Qui si registra un calo di interesse. La gioielleria non è più da molto tempo un bene rifugio. Per l’abbigliamento manca la riprova sociale: l’abbigliamento è anche un elemento di status e non potendo mostrare alcun acquisto, necessariamente si compra meno.
Si notano anche vendite online con picchi molto variabili, in una situazione di leggera crescita.
- È il caso dell’elettronica di consumo dove si misura la necessità di adeguare le proprie risorse alla difficoltà del momento.
- Il consumo di alimentari che ha una sua dinamica che analizziamo qui di seguito.
Nel caso dell’elettronica si scopre come sia fondamentale avere una buona connessione e soprattutto buoni strumenti.
Un conto è usufruire dei contenuti, un conto è lavorare a distanza per produrre contenuti e scoprire le limitazioni della propria attrezzatura, desktop, notebook e smartphone.
La fragilità dell’ecommerce.
Fin dall’inizio del periodo di ferma forzata della popolazione e della chiusura delle attività commerciali, si sono scoperti i punti deboli di molti ecommerce, anche di proprietà di aziende titolate.
Scelte errate di impostazione del magazzino e dei rifornimenti.
Ci sono molte aziende, con diversi punti vendita, che hanno scelto l’ecommerce e la vendita online, senza una chiara definizione dei ruoli tra magazzino delle merci, vendite offline e vendite online.
Non si poteva prevedere la chiusura dei punti vendita e la impossibilità di gestire le spedizioni da punti vendita chiusi al pubblico.
Ma nemmeno questo potrebbe essere il problema. Spesso sono state scelte soluzioni di vendita che sono sia deboli dal punto di vista della tecnologia, che altrettanto deboli dal punto di vista della abilitazione del consumatore all’acquisto.
E la vendita online, da una operazione possibile e gestibile, anche con la chiusura dei punti vendita, è stata una occasione persa.
Poco male per i prodotti che sono in calo di domanda, perché potrebbero riprendere nel medio lungo periodo.
Impossibilità di riassortimento quando i fornitori sono chiusi.
Si sono verificati problemi quando un’attività online, legittimata a continuare l’attività, non riesce a rifornirsi presso gli abituali fornitori, che siano codici produttivi o commerciali messi in chiusura temporanea o aziende che abbiano deciso di sospendere momentaneamente produzione e consegne.
Anche questo è un problema non prevedibile, ma che dovrebbe essere risolto da un miglior coordinamento tra venditori e fornitori.
Vincoli di gestione logistica interna.
Il numero delle preparazioni giornaliere per la spedizione è uno dei vincoli maggiori. È un problema che non si affronta mai, fino a quando non ci si scontra con questo muro.
C’è un tema di organizzazione del lavoro, di magazzino logico da mappare e gestire, di flussi di merce in entrata e uscita. Per quanto un’azienda sia convinta di avere una buona organizzazione, questi problemi prima o poi saltano fuori.
Accade per una normale crescita dell’attività, ma oggi è capitato per una esplosione immediata delle vendite e non prevedibile.
I ritardi su accumulano.
Prima sono giorni e poi sono settimane. Nel frattempo i clienti hanno una cattiva esperienza, i costi di gestione crescono, gli errori si accumulano.
Prime lezioni da trarre.
Dal nostro punto di vista, le prime lezioni da trarre sono molto semplici.
L'enfasi sulla cattura del cliente, sulle campagne pubblicitarie, sul social commerce, è del tutto inutile se mancano i fondamenti delle operazioni commerciali. Share on X
L’ecommerce ha finora vissuto su onde emozionali (il futuro, l’omnichannel, il cliente ubiquo), quando la vendita si fonda sempre su solide basi. Merci che entrano ed escono, cicli di cassa e cicli finanziari, utili da produrre, costi da controllare.
Interessante la lezione che arriva dall’ecommerce di alimentari.
Secondo Netcomm il totale delle vendite dell’ecommerce B2C nel 2019 in Italia è pari a 31,5 miliardi euro.
Su questo totale, il Food and Grocery sfiora 1,6 miliardi di euro, di cui 1,4 miliardi di euro è alimentare e il resto appartiene alle consegne di cibo a domicilio.
1,6 miliardi di euro di Food and Grocery – comprese le consegne – sono il 5% delle vendite totali online B2C in Italia. Vedi questi dati.
Cosa può essere successo in questo ultimo mese e mezzo.
L’acquisto nei punti vendita fisici ha avuto giorni di picco a causa di acquisti da panico con una punta intorno al 13 e 14 marzo per poi scendere e nel fine settimana successivo – 20 e 21 marzo – si dovrebbe essere stabilizzato sui livelli di prima della crisi.
Sono sicuramente aumentate le ricerche online e parte di queste si sono concretizzate in un paio di acquisti a lunga data di consegna.
Difficile pensare che, con negozi e supermercati aperti e con il consumo di necessità delle persone che aumentano il livello delle loro scorte, l’ecommerce alimentare sia cresciuto in modo da tale da insidiare pesantemente le vendite nei punti vendita fisici. L’ecommerce alimentare, visto il basso livello di partenza, può essere cresciuto molto nelle prime due settimane di marzo 2020, per trovarsi di fronte ad ostacoli molto importanti.
Come funziona la vendita online degli alimentari.
Quando ognuno di noi va a fare la spesa al supermercato, impiega il suo tempo, non lo valorizza e consuma il proprio carburante per portare a casa gli acquisti. Ogni punto vendita ha una portata oraria di persone che possono fare la spesa e le merci sono rifornite dalla scorta disponibile, dal magazzino della filiale e dal magazzino centrale.
Quando passiamo un ordine online:
- La merce deve essere raccolta dal personale del supermercato con i costi del picking tutti a carico del supermercato.
- La composizione della spesa è fatta di prodotto secco, fresco, a peso e congelato con ogni tipo di prodotto che ha trattamenti diversi.
- La spesa deve essere raccolta, composta e conservata separatamente a seconda del tipo di prodotto. Va poi ricomposta quando viene consegnata al cliente, che si tratti di consegna a casa del cliente, di ritiro pick&pay o di ritiro drive.
- Non posso sicuramente comporre una spesa di fresco e appartarla per sette giorni per poi consegnarla.
La somma di tutte questa attività rappresenta costi per il supermercato che non possono essere scaricati interamente sul cliente finale, pena l’aumento dei prezzi dei prodotti online.
Si capisce come un ritardo nella raccolta e composizione degli ordini porti a dilatare i tempi di consegna, fino ad impedire di poter raccogliere nuovi ordini in attesa di smaltire le code di preparazione e consegna.
È esattamente quello che è successo alle catene di supermercati che accumulano ritardi di settimane e che chiudono il checkout o l’accesso a nuovi clienti.
A maggior ragione e con problemi crescenti, è stato lo scenario prevalente degli ecommerce alimentari che gestiscono le merci e il loro approvvigionamento con dei dark store che si sono piantati.
Tutto questo è avvenuto con un incremento di vendite significativo, inferiore alle vendite in negozio, ma che ha generato problemi e ritardi notevoli.
Il retail fisico soffrirà ancora a lungo per la mancanza di traffico pedonale.
È difficile immaginare che la vendita al dettaglio ritorni alla normalità, complice anche una situazione economica generale che si prospetta difficile.
Eppure, non so quando, tornerà la normalità e potrebbe essere simile alla situazione pre-crisi.
Oggi il traffico pedonale e le vendite sono quasi a zero. E, purtroppo, dipende dalla frenata dei consumi, non dal loro spostamento dal negozio tradizionale all’online.
C’è però un cambiamento profondo nel comportamento dei consumatori che riguarda proprio il consumo alimentare.
Le abitudini si consolidano.
Le linee di tendenza sono queste.
Il commercio online cresce ogni anno in occasione delle festività natalizie ed il periodo migliore si conferma il mese di novembre.
All’uscita dalle feste natalizie, per i primi tre mesi dell’anno entrante, l’ecommerce si posiziona ad un livello leggermente superiore all’anno precedente.
Questo dimostra come i consumatori si adattano progressivamente a nuove abitudini di acquisto e quello che inizia come una semplice curiosità si trasforma in cambi permanenti delle abitudini di acquisto.
Si può pensare che l’ecommerce di alimentari stia vivendo una esperienza simile.
Centinaia di migliaia di utenti online trasformeranno acquisti occasionali online in acquisti ricorrenti. Share on X
Naturalmente, nel medio periodo molti di questi compratori torneranno nei negozi.
Ma se in precedenza è stato usato l’acquisto online una volta ogni venti occasioni di spesa e questa abitudine all’online passasse ad una occasione su dieci di acquisto, ci sarà un impatto profondo a lungo termine.
Chi sarà in grado di gestire questi cambiamenti?
Il commercio di generi alimentari sta vivendo, ancora prima della crisi generale dovuta alla pandemia di Covid-19, una profonda trasformazione.
1 – Le grandi catene nazionali aggiungono la vendita online per raggiungere nuovi clienti laddove l’apertura di nuovi punti vendita fisici rappresenta una obiettiva difficoltà.
2 – Amazon punta ai CPG (Consumer Packaged Goods – beni confezionati, di uso frequente) per aggredire il mercato, grazie alla sua capacità di gestione logistica.
Il tema per queste aziende non sarà avere utili dalla vendita online, ma conquistare nuovi clienti e nuovi territori, spostando in avanti la gestione dei costi. Ed è anche probabile che non ci sia equivalenza di prezzo al pubblico tra negozio fisico e negozio online. In fondo, questo stress test sull’ecommerce potrebbe anche rappresentare la fine delle ipotesi omnichannel che si sono sempre dimostrate molto difficili da gestire.
Le piccole attività possono cercare di difendere il loro mercato locale, anche senza avere un ecommerce, grazie ad una qualità di servizio, che dovrebbe poi dimostrare di essere economicamente sostenibile.
Le alternative in campo per chi decide oggi di entrare nella vendita online di alimentari..
Presi in mezzo a queste trasformazioni, ci sono tutti coloro che fanno fatica a destreggiarsi tra le diverse opportunità e che dovrebbero agire prima che per loro sia troppo tardi.
E la scelta si pone tra
- investire direttamente in organizzazione, strumenti e tecnologie tipiche di chi è decisamente più grande di loro, impostando un piano di investimenti molto importante per affrontare un lungo periodo di costi senza margini.
- investire in Platform As A Service per agganciare velocemente la clientela, prima che esca dal proprio radar digitale e soddisfarla con maggiore velocità.
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