Mentre sto scrivendo la seconda edizione del libro Ecommerce, comincio ad affrontare la questione delle vendite online da una nuova prospettiva. Sarà l’aria della difficoltà economica generale che induce a pensare in maniera strategica, ma ho la netta impressione che stiamo attraversando una fase di rapidissimi cambiamenti.
Sono convinto che le cose che cambieranno rapidamente saranno l’architettura degli ecommerce, che va decisamente ripensata perché la maggior parte delle soluzioni di e-commerce non sono in grado di fornire una piattaforma tecnica sufficiente per concentrarsi sulle esigenze del cliente, sulla sua esperienza collegata al brand (sì, anche un rivenditore è un brand ), per sorprenderlo in modo positivo e non farlo sentire perduto.
La seconda cosa che sta già cambiando è che sta fiorendo un nuovo sistema digitale di impresa. Quello che si oggi si chiama omnichannel sta già evolvendo in un ecosistema, in un network coordinato di imprese, devices e consumatori che assieme creano valore.
Parlare di commercio senza fondamento.
Bisognerebbe cominciare a parlare di commercio e collegare tutti i discorsi ad argomenti solidi come la distribuzione dei valori immobiliari, le norme urbanistiche, i fatturati ed i consumi reali. Perché mentre lo scenario dei consumi cambia, nuovi centri commerciali arrivano a compimento con progetti immobiliari da 20 a 30 anni di previsione. Iniziano oggi l’attività con contratti di locazione a lunga scadenza e pochi hanno una vaga idea di quello che succede quando i primi calcoli cominceranno a scoppiare e quello che è capitato al commercio tradizionale è solo una brezza leggera rispetto a quello che deve avvenire.
Dove sono i milioni di profitto dei venditori online?
La cosa che è facile osservare è il migrare delle vendite dal retail tradizionale ai negozi online. Questa migrazione è significativa, ma sfortunatamente non sempre crea profitto per tutti i commercianti online. I precedenti milioni di profitto dei retail tradizionali sono ora disponibili per le tasche dei consumatori. La trasparenza dei prezzi sulla rete lo rende possibile ed i margini per tutti i venditori, vendano o non vendano online, si stanno comprimendo.
I negozi stanno sparendo dalle città?
Vero. I piccoli centri si stanno svuotando di negozi e molte vie commerciali non lo sono più. E’ anche vero che molte attività non potranno mai più collocarsi nei centri urbani, perché non hanno la capacità di sostenere i costi, arredare lo spazio ed attendere l’ingresso dei clienti. Eh si, anche il tempo per un retail ha un costo alto!
I negozi noiosi non sopravviveranno nel futuro. L’ecommerce potrà accelerare questo cambiamento, ma non è il responsabile.
Se le strade commerciali sono vuote con l’ecommerce sotto al 5%, cosa dovrebbe succedere quando arriverà al 20%?
I compratori online sfruttano i servizi dei negozi fisici.
E’ un luogo comune delle discussioni tra commercianti: i clienti vengono in negozio e dopo un grande servizio comprano online.
C’è sicuramente il caso, ma non è sempre così. Fino a quando le descrizioni del prodotto su Amazon saranno migliori di quello che un annoiato commesso capace di dirti solo che a casa anche lui ha quello che stai chiedendo, non c’è speranza.
Per fortuna molti ecommerce, soprattutto di abbigliamento, riescono a far peggio dei loro commessi fisici, grazie al consiglio di qualche agenzia che dice che le persone online non leggono.
Cosa dovrebbe dire Amazon quando i clienti usano le descrizioni dei prodotti e vanno a comprare da un’altra parte?
Amazon ucciderà tutti?
Amazon non è il demonio, Amazon ha solo il migliore e più efficace modello di commercio. Amazon ha una grandissima offerta, spesso il miglior prezzo, un servizio efficiente di logistica e il consumatore compra qui, semplicemente.
Si può anche pensare che sia anti sociale che grandi compagnie come Amazon, eBay, Google, Facebook, usino tutte le opportunità di mercato per pagare meno tasse, rispetto ad altre imprese. Ma queste solo le norme attuali che consentono la competitività fiscale. Provi a cambiarle chi ha l’autorità per farlo.
L’ e-commerce è un dato di fatto. Non è buono o cattivo.
I cambiamenti di mercato coinvolgono concetti vecchi di vendita, di produzione, di merchandising, con nuove opportunità più agili di vendita al dettaglio. Chi vende online ha sfide da affrontare al pari dei venditori fissi ed in molte discussioni si mescola tutto senza discernere nulla. E così non si rende un buon servizio ad alcuno.